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Un’opera letteraria importante come il Don Chisciotte, trasposta per marionette o burattini con soli due artisti (manipolatori) in scena, dunque a basso costo, non è cosa semplicissima.
Se si riduce per baracca con burattini a guanto si rischia di ridurre il tutto a botte burattinesche. Certo le botte nell’opera del Cervantes esistono, ma non sono il carattere principale; e trasformarle nell’elemento centrale, per parlare del Don Chisciotte, classico mondiale della letteratura, ci sembrava irrispettosa, cosa da poco.
Per cui siamo partiti dal tentativo di mantenere l’atmosfera che evoca l’opera musicale o letteraria a cui fa riferimento lo spettacolo, come nel Petrouchka e nel Flauto Magico, nostre ultime trasposizioni e come in Azzurra Balena (dove l’atmosfera che evoca la lettura è stata anzi esaltata, come ci ha confermato entusiasta l’autrice del libro).
Nel Don Chisciotte crediamo di essere riusciti non solo a migliorare l’atmosfera evocata dalla lettura (che spesso, causa la lunghezza e la verbosità del Cervantes, diventa noiosa) e di mantenere i caratteri che il nostro immaginario evoca al nome di Don Chisciotte, ma crediamo di aver raggiunto anche lo scopo di offrire alle nuove generazioni un’avvicinamento divertente a un’opera letteraria importante, e magari di aiutare educatori e insegnanti a far digerire loro l’approccio ai classici della letteratura.
Alcuni caratteri, personaggi e riferimenti sono stati mantenuti, così da poterli ritrovare nei medesimi ruoli assunti nel libro, anche se con qualche piccolo cambiamento drammaturgico.
Ad esempio: Mastro Pietro, il burattinaio, che nel libro come avventore per pagarsi la cena fa lo spettacolo alla locanda, diventa l’oste e Don Chisciotte non distrugge il suo teatrino, ma quello che sogna nella notte dopo essersi ubriacato rammentando comunque altri protagonisti della vicenda: Don Gaiferos e Melisenda, amici di Don Chisciotte
Abbiamo inserito un classicissimo Diavolo (con evidente riferimento al mondo burattinesco e faustiano) che ridà la vita a Don Chisciotte in cambio dell’anima di Sancio Panza, ma solo “Dopo che avrò mangiato, bevuto e gozzovigliato, e avrò fatto tutto quello che mi aggrada da governatore o viceré?”.
Abbiamo mantenuto Dulcinea, trasformandola in una megera che Don Chisciotte vede bellissima e viene deriso da Sancio; abbiamo mantenuto naturalmente il Mulino a vento che Don Chisciotte scambia per il drago della Casildea di Vandalia, citato nel libro, ma in una occasione diversa; abbiamo mantenuto Clavilegno, un cavallo di legno su cui, nel testo di Cervantes, vengono da un signorotto fatti salire bendati Don Chisciotte e Sancio Panza, facendo loro credere di volare, con il cavallo mosso da alcuni servitori, sbeffeggiati da tutta la corte.
Clavilegno, per il nostro Don Chisciotte, diventa invece il viatico per arrivare sulla Luna e recuperare la memoria e l’immaginazione imprigionate in ampolle di vetro, che la stessa Dulcinea, sull’orlo di una imminente perdita della memoria, chiede al suo cavaliere prediletto. In questo modo si restituisce l’ammirazione che lo stesso Cervantes esprime per l’Orlando Furioso dell’Ariosto, il cui libro è uno dei pochi ad essere salvato nell’iniziale scena, che si legge nel testo, della distruzione dei libri della libreria di casa da parte del barbiere e del prete amici di Don Chisciotte, per salvarlo dalla fissazione di essere un cavaliere errante.
Abbiamo aggiunto poi un fil rouge narrativo che guida tutto lo spettacolo, ovvero il dover mettere insieme una filastrocca per poter materializzare Clavilegno (“tragitto breve o tragitto lungo che Clavilegno appaia senza indulgo, strada sovrana, volo supremo, con Clavilegno dalla Luna non torneremo “) che di bocca in bocca, pezzetto per pezzetto Sancio Panza e Don Chisciotte devono completare.
Abbiamo infine inserito musica e rumori.
Nelle nostre messe in scena la musica ha un ruolo importante; non può essere un banale tappeto sonoro, un semplice siparietto tra una scena e l’altra per allungare il brodo. Se musica deve esserci, deve esprimere qualcosa, deve essere fondamentale per la comprensione dello spettacolo stesso.
Ma inizialmente non l’abbiamo inserita.
Abbiamo invece cercato di sviluppare uno dei caratteri che secondo noi dovrebbero essere distintivi per un moderno Teatro di Figura, ovvero i rumori.
Come la vecchia scuola dei rumoristi della radio o dei burattinai della tradizione e dei pupari siciliani, aiutati in questo caso dall’elettronica, abbiamo inserito suoni e rumori che individuassero con precisione l’ambiente in cui si sarebbero mossi o le azioni che avrebbero eseguito i personaggi: il calpestìo di avvicinamento, gli zoccoli del cavallo, i rumori della locanda, il dormire russando, il fare pipì di Sancio, il bere, il cigolio sinistro del mulino e così via.
Il buio, le poche luci (lo spettacolo è tutto in penombra) e gli speciali sugli elementi principali hanno creato il resto dell’atmosfera, onirica e sognante.
Solo a questo punto abbiamo inserito la musica, pochissima, ma importante.
Si trattano di brevissime introduzioni ad alcune scene, che in spagnolo e suonate con strumenti dell’epoca, annunciano ciò che accadrà. Sono tratte da Don Quijote del la Mancha di Jordi Savall, il famoso interprete di musica antica, ed eseguite assieme alla Capella Reial de Catalunya, suggeritemi diverso tempo fa da Carlo de Incontrera, ex direttore artistico per la musica della Fondazione Nuovo Teatro Giovanni da Udine, che ci commissionò il Petrouchka di Igor Stravinskij nel 2007.
Infine Patrizia con le sue marionette in gommapiuma, ha saputo fornire ai personaggi, come sempre, un carattere preciso: vago e trasognato Don Chisciotte, crapulone e pragmatico Sancio Panza, vanitosa e terribile Dulcinea che canta il “Cuccurucù” dal film l’Armata Brancaleone di Mario Monicelli, unica gustosa digressione.
Stefano Cavallini regista, drammaturgo, marionettista e burattinaio